di Hegel e di Marx.
Stefano Garroni
Negli anni Venti del nostro secolo, il
neopositivista Moritz Schlick sottolineava come conoscere (erkennen) sia
propriamente un ri-conoscere (wieder-erkennen).
Com’è noto, questo tema del conoscere
come riconoscere già lo abbiamo incontrato in Hegel; dunque, può destare
qualche meraviglia ritrovarlo in un ambiente (quello neo-positivista), che di
solito considera Hegel il campione del pensiero speculativo e metafisico,
contro cui si indirizza l’analisi linguistica, proposta, a partire dal Wienerkreis
(Circolo di Vienna, 1929), quale strumento terapeutico contro gli abusi
linguistici[1] e di
pensiero.
La stessa puntualizzazione, che chiarisce
come per Hegel non si tratti esattamente di erkennen/wiedererkennen (riconoscere),
ma sì di erkennen /anerkennen (riconoscere, ma nel senso di
legittimare), non ci toglie dall’imbarazzo, dato che M. Schlick usa wiedererkennen,
intendendo dire che <conoscere X>
equivale a ritrovare in X la possibilità di ricondurlo a una certa forma
o regola, nella quale la ragione ritrova o riconosce se stessa; dunque,
per Schlick, affermare che la ragione conoscendo, riconosce X,
significa dire che la ragione legittima X, testimonia della sua
razionalità, lo accetta nel dominio del razionale. A questo punto wiedererkennen
vale esattamente anerkennen.[2]
Da quanto detto, si possono ricavare due
conseguenza:
(i) comune a due grandi momenti del
razionalismo moderno (pensiero di Hegel e Wienerkreis[3])
è la concezione del conoscere (che ha nella scienza la sua espressione più
compiuta[4])
come riconoscere/legittimare;
(ii) ciò posto, possiamo esaminare il tema
nel solo Hegel, pur avendo lo scopo di mettere in evidenza come
conoscere/riconoscere implichi certe condizioni, che valgono probabilmente per
qualunque razionalismo moderno.
In Hegel, anerkennen (riconoscere/legittimare)
gioca –non per caso- un ruolo importante sia in ambito epistemologico[5],
sia in ambito etico-politico. Perché? Rispondere ci obbliga ad un breve détour.
Chiarisco che quando parlo di tradizione
dialettica intendo la linea di pensiero Leibniz – Hegel – Marx. Ciò non
significa, ovviamente, ignorare le profonde radici aristotelico-platoniche del
pensiero di Hegel (e quindi le
fondamenta nell’antichità classica dell’atteggiamento dialettico); né significa
ignorare il contributo grande, che alla dialettica hanno dato personaggi come
Descartes, Kant e lo stesso Fichte.
Significa semplicemente proporre i tre autori, che ho citato (Leibniz, Hegel,
Marx), come coloro, che più compiutamente hanno dato espressione
all’atteggiamento dialettico. Ora, di cosa si occupa la dialettica? Qual è lo
spazio, il dominio del suo svolgersi?
La risposta sembra indubbia: la dialettica
è qualcosa cha ha senso, entro il dominio dell’esperienza storico-naturale
dell’umanità.
In altre parole, la dialettica non
ci parla del mondo, ma sì dell’esperienza dell’uomo nel mondo;
la dialettica non ci parla della società, ma sì dell’esperienza
dell’uomo nella società.
Detta altrimenti, la dialettica non
parla di cose (il mondo, la società, la natura), ma sì di sistemi
dinamici di relazione: dunque, se il suo dominio è quello dell’esperienza,
ciò significa che è quello del continuo, inarrestabile
rapporto/scontro/conciliazione/ e così di seguito, tra uomo, società e natura.
L’indagine dialettica mira
fondamentalmente –al suo livello più alto, speculativo- a definire la grammatica
(per così dire) dell’inarrestabile dinamica dell’esperienza, a coglierne le
forme generali e il modo, la ragione del loro succedersi l’una dall’altra. A
questo livello, la dialettica può giungere ad una comprensione piena dei
processi –ma, appunto, a questo livello, in cui ciò che si conosce non
sono determinate situazioni, determinati contenuti, ma sì la forma
del loro svolgersi. Come si vede, la piena, assoluta conoscenza, che la
dialettica può raggiungere, ha un limite di un certo rilievo: è la piena,
compiuta conoscenza di … nulla, di nulla di determinato.
Ma esiste, anche, un altro livello: quello
di un’analisi più puntuale, dello studio per così dire di <insiemi
regionali>, di situazioni determinate, che tuttavia costituiscano un tutto,
sufficientemente definito.
Perché, in realtà, comprendere quale sia
lo spazio della dialettica significa, certo, cogliere la centralità della
dimensione dell’esperienza, ma appunto nei termini, che abbiamo già
usato –intendo l’<esperienza> in quanto sistema dinamico di relazioni
uomo / natura / società. Ma questo è, appunto, un tutto, il quale
–essendo un inarrestabile rapporto/conflitto/conciliazione e così via-, non è
qualcosa di lineare, di sempre identico a sé; piuttosto è qualcosa di
travagliato, ricco di torsioni e tensioni, insomma, un <tutto>, che
ospita dentro di sé la contraddizione, lo scompenso, la disarmonia, il
<no>.
E’ un
tutto –in questo senso qualcosa di identico a sé-; ma un
tutto travagliato, contraddittorio –e che, dunque, ha dentro di sé l’altro
da sé, ciò che lo smentisce, lo tormenta, lo minaccia. E’ un tutto sì, ma dialettico,
contraddittorio, ed esattamente per questo dinamico, inarrestabile.
Come si vede, il paradosso essenziale di
questo tutto è di comprende entro di sé l’uguale e il diverso,
l’identitario <sì> e il differenziante <no>: ciò significa che la
realtà di questo tutto, paradossalmente, sta proprio nel dinamico
richiamarsi dell’identico e del diverso, del positivo e del negativo, ognuno
dei quali trova nell’altro la propria conferma.
Abbiamo già detto che il tutto di
cui parliamo è l’esperienza storico-naturale, di cui l’uomo è, ad un tempo,
risultato a protagonista: ma qual è la condizione perché esista una tale
esperienza?
Evidentemente la vita sociale; solo in
società, infatti, l’uomo può avere rapporto con gli altri uomini e con la
stessa natura; solo in società, l’uomo può –mediante il rapporto sociale di
lavoro- trasformare la natura e, nello stesso momento, suscitare in sé nuove
capacità, plasmare sé stesso con nuove e più complesse abilità. Se comprendiamo
questo, comprendiamo facilmente come il tema del riconoscere/anerkennen,
in Hegel, passi con totale facilità dal piano propriamente epistemologico a
quello etico-politico.
Ad es., per Hegel è vero che la mia
volontà diviene qualcosa di sicuro, stabile ed obiettivo, mediante la forma
giuridica, cioè il riconoscimento sociale; dunque, in ambito
etico-politico, è vero che la possibilità di affermare <X è obiettivo>
rimanda all’esistenza di una collettività organizzata in modo pubblico, ovvero
mediante regole da tutti conosciute. In altre parole, in quanto vivo nel
contesto d’una esperienza sociale organizzata, è vero che <obiettivo>
significa riconosciuto da una
volontà collettiva, strutturata mediante istituzioni; in questo senso, la
pubblicità del diritto non è solo una garanzia per il singolo contro l’arbitrio
del Potere, ma sì anche un modo per dare effettiva consistenza all’individuo
mediante la società ed alla società mediante l’individuo.
A conclusione di questa breve nota,
osserviamo che definire il significato hegeliano di erkennen /anerkennen (conoscere,
come riconoscere) ci ha messo, anche, in condizione di precisare alcuni
punti dell’ambito, entro cui ha senso la dialettica (almeno nel significato,
che il termine ha entro quella tradizione, che giunge fino ad Hegel e Marx).
Naturalmente ciò non significa che in
linea di principio non sia legittimo usare il termine dialettica in
altri contesti e con altri significati.
Significa, però, che quando dialettica
venga riferito a dimensioni, che non sono l’esperienza storico.naturale dell’uomo,
abbiamo a che fare con qualcosa, di cui probabilmente non ha neanche senso
chiedersi come tradurre nel linguaggio (e, dunque, nella prospettiva e nella
problematica) di Hegel e di Marx.
(19 luglio
2002).
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[1] - Versprechien –si noti che questo termine fa parte del vocabolario freudiano.
[2] - Si potrebbe dire che anerkennen occupa, semanticamente, uno spazio, che comprende e unifica il significato di wiedererkennen, che già conosciamo, e quello di ausweisen, legittimare.
[3] - Sia pure per ragioni apposte, collocare il pensiero di Hegel e il Wienerkreis entro lo svolgimento del razionalismo moderno può destare qualche importante riserva. Evidenti motivi di opportunità, ci inducono –ora- a mettere tra parentesi tale questione.
[4] - Naturalmente è importante sottolineare una differenza: in Hegel, la scienza (Wissenschaft) coincide con il punto di vista speculativo o della ragione; per il Wienerkreis, al contrario, il modello della scientificità è dato dal dominio delle scienze particolari (Einzel - wissenschaft), che Hegel differenziava, invece, dallo Scientifico in senso pieno, così come differenziava l’intelletto dalla ragione.
[5] - Uso il termine semplicemente nel senso di pertinente il conoscere.